Bizona 5-5-5: Roma-Inter.

C’è un sottile legame fra chi firma per il pari e chi per una società turca che va al di là di una semplice scelta verbale.

L’Inter che esce indenne dall’Olimpico (non un’impresa ma un buon risultato su un campo dove sia Milan che Fiorentina erano uscite con le ossa rotte) è una squadra tenace ma che sta in piedi a fatica, incompiuta e sgravata di un considerevole quanto ipotetico peso tecnico, psicologico ed economico.

In una parola un Inter senza lo Sneijder che fu o con l’attuale ed anarchico Guarin, unico, in assenza di Cassano, a conservare nei piedi un’idea di calcio meno accademica.

Due che trequartisti non sono ma che lo sono diventati per necessità, con sorti e attitudini diverse.

E proprio dal colombiano e dai suoi movimenti che probabilmente sorge il dubbio tattico principale del posticipo della ventesima giornata di campionato.

Ovvero l’ex centrocampista del Porto aveva o no il compito di allinearsi in mediana in fase di non possesso? (figura 1 e 2)

             

                       
(Guarin in linea)
   
                       

(Guarin distante e due romanisti liberi)

Lasciando in sospeso la risposta, va notato che la Roma ha indiscutibilmente vinto per almeno mezz’ora tutti i duelli sugli “intermedi”, ovvero le mattonelle di campo comprese fra Nagatomo e Zanetti e fra Pereira e Gargano (o Guarin?) (figura 2b).

         

(I sincronismi fra esterni e centrali è senz'altro rivedibile)


Una zona nella quale, anche se in misura minore, l’undici di Zeman ci aveva fatto male anche nella partita di andata.
Differenze minime (Lamela più largo di Destro, De Rossi con meno geometrie di Tachtsidis ecc.) ma solito tranello: Totti che balla fra le linee, Balzaretti che si sovrappone e ottimo incrocio fra la punta (che esce) e l’interno o il terzino (che si infila nello spazio con o senza palla, con almeno due soluzioni a disposizione), favoriti anche dall’accentrarsi di Nagatomo, naturale conseguenza dello slittamento dei centrocampisti per coprire i vuoti che si creavano per l’arrembante lavoro di Bradley (figura 4).
                          

 (Florenzi porta via Nagatomo, liberando lo spazio per Balzaretti)

Tuttavia l’imprecisione degli avanti giallorossi e il senso dell’anticipo della retroguardia interista ha permesso a Stramaccioni di apportare alcuni accorgimenti utili, come l’arretramento di Pereira prima e lo spostamento del Palito nei tre di centrocampo poi, con Juan Jesus proposto nel ruolo di terzino sinistro.
Purtroppo, come ci accade dalla serata trionfale di Torino in poi, i problemi maggiori nascono in fase di possesso, sia per quanto riguarda la costruzione del gioco e la finalizzazione dello stesso, sia per l’assenza di un’organicità di squadra.
La rinuncia a Cambiasso (“Ho scelto centrocampisti di corsa perché questo serviva con la Roma”, dirà Stramaccioni in conferenza stampa), la forma non ottimale di Nagatomo e le assenze forzate di Cassano e Milito facevano sì che le scelte fossero quasi scontate.
Tre uomini d’attacco e 3-4-1-2 come modulo più usato in questa stagione, col solo Livaja preferito a un Rocchi meno acerbo ma privo di un ritmo partita accettabile.
Schieramento che per forza di cose metteva nelle mani di Guarin una responsabilità enorme: illuminare una squadra con pochi stoppini.
Forse troppo per un giocatore dal potenziale enorme ma più portato all’azione personale che al passaggio risolutivo e a dettare i tempi in assenza di un regista.
E se giochi con la speranza che il singolo ti inventi la giocata, con Gargano play basso presssato e costretto a ricevere la palla sempre di spalle alla porta avversaria è logico che i due laterali di spinta servano a poco a nulla, ancor meno se di loro non riescono a creare superiorità numerica.
Nel primo tempo l’azione partiva sempre troppo bassa, il giro palla dei tre centrali era lento e non restava altro che il lancio lungo verso la trequarti romanista, che fra l’altro concedeva poco spazio con De Rossi, Marquinhos e Castan raccolti in un fazzoletto e spalleggiati dagli altri compagni di squadra.  Di contro le “sciabolate morbide” di Totti e compagni si contano sulle dita di una mano e hanno tutte una logica precisa, un’idea di fondo.
Non è un caso che la prima giocata palla a terra nasca dall’abbassamento di Guarin e si concluda con un cross di Pereira che cerca in area lo stesso colombiano.
Conseguenza? Marquinhos libera l’area senza patemi, Bradley si infila facilmente nel citato “intermedio” in un pericoloso 4 vs. 5 e scarica per Lamela il quale sbaglierà la misura dell’ultimo passaggio per una questione di centimetri con Osvaldo tutto solo davanti ad Handanovic (figura 3).
                          
(Posizioni e movimenti errati della retroguardia interista)

Situazione che si è ripetuta ogni volta che Guarin ha provato a sfondare centralmente senza riuscirci.
La seconda azione manovrata (non ce ne saranno molte altre) è lenta e si conclude con un tiro innocuo di Nagatomo, con il solo Palacio a tentare un movimento smarcante.
Il tutto nasce da un anticipo di Gargano (non è un metronomo ma almeno ha idea di come mantenere gli equilibri di squadra, a differenza dei suoi compagni di reparto) in mezzo non negli ultimi 30 metri della metà campo romanista. Una rarità. Per non parlare dei tiri in porta (il primo al 37°, il palo di Livaja su un lancio di quaranta metri di Gargano).

Infatti un altro inconveniente della partita è stato il recupero palla alto: nonostante la coppia di centrocampisti muscolari, il pressing era isolato e/o mal orchestrato e la Roma, dotata di gente dai piedi educati, ha avuto gioco facile finché non ha tirato il fiato a fine primo tempo, forse sazia del vantaggio (figura 5-6-7).

 (Azione del rigore: Zanetti riceve con lo sguardo rivolto verso Handanovic, i compagni sono distante e grazie ad un pressing ben organizzato Bradley rubererà palla e si conquisterà (?) il rigore)
                         

                 

(Pressing sterile e giro palla semplice della Roma)

(Azione della Roma che ci trova scoperti)

Il gol di Palacio è estemporaneo ma conseguenza di una crescita tattica in primis (vedi ad es. Pereira qualche metro più indietro), legittimata dal passaggio al 4-3-1-2 di inizio ripresa che garantirà all’Inter una migliore occupazione degli spazi e pressione ai palleggiatori della Roma (figura 8).

(il 4-3-2-1 con Obi terzino destro)

La grinta del Palito crea densità, toglie fiato a Bradley (la fisicità del Guaro fa il resto su Tachtsidis) e aiuta Juan Jesus a depotenziare Lamela.
Ad onor del vero una piccola mano a Stramaccioni arriva dall’infortunio di De Rossi, sostituito da uno scialbo Tachtsidis, e dal calo di Totti, segnalato già in partenza in condizioni fisiche precarie.
Equilibrio, baricentro più alto e ritmo permettono all’Inter di avanzare in maniera più fluida (figura 9) anche se alle punte non arrivano grandi rifornimenti, un po’ per le pecche tecniche di Pereira, Juan & co., un po’ perché Palacio deve combattere contro due centrali solidi e rapidi, un po’ perché l’ardore di Livaja, dal passo elegante ma indolente, si spegne e con essa l’attenzione, vanificando quei 3-4 contropiede (figura 10).

(Nella ripresa, in fase di non possesso, l'undici nerazzurro è ordinato)


Colpa anche della famosa assenza di un metronomo capace di dare palla con il dosaggio giusto e completare l’opera di sfilacciamento della trequarti romanista.
L’ingresso di Rocchi, in questo caso, era un’opzione per dar profondità all’attacco ma il preoccupante ritardo di condizione dell’ex laziale ha vanificato ogni velleità di vittoria di Stramaccioni.
Anzi, nel finale è la Roma a sfiorare due volte la porta con Piris.
                          

(Una delle situazioni lette male dall'Inter)

Stanca e leggermente impaurita all’Inter non resta che stringersi come il Bosforo in prossimità di Istabul e accontentarsi del pari con sedere sulla sponda sicura (le principali rivali non hanno aumentato il divario) e con la mente su quella turca, pensando a Sneijder, al significato del suo arrivo in nerazzurro e quello della sua partita.
Dall’altra parte del ponte, verso l’ignoto, evitando di cadere nelle acque del Mar Nero.



AL82

Nella foto (Inter.it) Guarin, il nostro uomo copertina, con tutti i pro e i contro del caso.