L'Europa vista da lontano: terza giornata di Polonia/Ucraina 2012

Gruppo A

La bellezza del calcio sta anche nel saper sparigliare le carte in tavola come pochi altri sport.

E così la Russia che sembrava trotterellare allegramente verso i quarti, in attesa soltanto di capire chi portarsi a braccetto, tornerà a casa e con essa, pur con meno chilometri da mettersi sotto le scarpe, la Polonia.
Ma Grecia e Repubblica Ceca sono davvero sorprese?
Dal punto di vista qualitativo assolutamente sì.
Per coraggio, umiltà e utilizzo dei propri (pochi) mezzi no.
I cechi hanno scalato la classifica dal basso e nell’ombra, e questo è un grosso merito, come la tartaruga nella favola di Esopo.
Dal pesante 4-1 subito all’esordio dalla Russia, la lepre boriosa del gruppo, ha proseguito del proprio passo.
Ha registrato appena la difesa (fondamentale in questo caso la promozione a titolare del terzino sinistro Limberský (’83 – Viktoria Plzeň), col conseguente ritorno di Kadlec (’84 - Bayern Leverkusen) al centro della difesa)), piazzando Hübschman (’81 - Shakhtar Donetsk) come schermo protettivo in mediana, assecondato la buona vena di Gebre Selassie (’86 – Slovan Liberec, tanta corsa e piedi da limare), Pilař (’88 - Viktoria Plzeň, il più brioso del quartetto offensivo e utile nei ripiegamenti, come quelli che hanno limitato di gran lunga le scorribande del polacco Piszczek) e Jiráček (’86 – Wolfsburg), che tomo tomo cacchio cacchio ha infilato in porta due dei tre gol qualificazione.

Il resto è stato un compromesso fra presente e futuro: meno dipendenza dal quotato Rosický, assente contro la Polonia, e nessuna tentazione nel privarsi del mestiere di Baroš per inserire i rampanti classe ‘89 Necid (Cska Mosca) e Pekhart (Norimberga).

La Grecia, invece, ha costruito la sua promozione ai quarti con l’orgoglio e le lacrime di una Nazione in pieno baratro (in questo caso curioso che in panca sieda Santos, formatosi in Portogallo ma nato in Brasile, stato in ascesa e dalla cultura calcistica opposta a quella ellenica).
Perché ad essere onesti la materia prima è, seppur stimabile, davvero grezza.
Difesa e palla avanti, sperando che qualcosa accada.
Dovendo fare un unico nome dico Kyriakos Papadopoulos (’92 – Schalke 04), uno che si è esaltato con la sua stazza nei mischioni ma non solo.

Che dire invece di Russia e Polonia?
I primi hanno pagato il gioco al risparmio proprio contro i padroni di casa, fieri dell’atto di forza ai danni di Cech e compagni.
Una giornata meno lucida e fortunata e la Grecia con cinismo, dote mancata agli uomini di Advocaat, ha fatto il colpaccio.
Probabilmente la differenza con le altre compagini non era così netta e Dzagoev (’90 – Cska Mosca) non il fenomeno che è stato dipinto ma un’avventata proiezione di calciatore da alti livelli.
Certo avessero avuto uno à la Gomez, tutto questo discorso andrebbe a farsi friggere ma la realtà è un’altra.
I secondi si sono praticamente fatti male da soli col loro leit-motiv: primo tempo arrembante, ripresa con l’acqua alla gola o quasi.
Se poi si prende una rara pausa Błaszczykowski i polacchi non hanno più sbocchi: Piszczek è calato partita dopo partita, sul centro-sinistra non pervenuti Rybus (’89 - Terek Grozny), Murawski (’81 - Lech Poznań) e Obraniak (’84 – Bordeaux) e Lewandoski, un mestierante d’area, abbandonato nella morsa dei centrali avversari, senza un aiuto che fosse uno.
Morale della favola: la costanza sa essere preziosa più del lampo di classe isolato.

Gruppo B

Nonostante la Germania sia l’unica squadra a punto pieno di questa prima fase dell’Europeo, un plauso andrebbe fatto al Portogallo, entrata nell’immaginario collettivo come squadra in bilico fra talento ed inconsistenza ma protagonista fin qui di un cammino piuttosto solido.
Perso ai punti il duello con i teutonici, gli uomini di Bento si sono fatti apprezzare per un gioco che aggiunge verticalizzazioni, pressing e sostanza al classico tiki-taka iberico.
Avessero un centravanti vero e un portiere affidabile le possibilità di arrivare fino in fondo sarebbero davvero alte, almeno da quanto emerso nelle prime tre partite.
Difesa arcigna centralmente (senza l’irruenza che spesso lo contraddistingue Pepe è un centrale di assoluto valore e ha in Bruno Alves un’ottima spalla) e affidabile sugli esterni (discreta sopresa João Pereira, classe ’84 di proprietà del Valencia), una linea mediana assortita anche se non rapidissima, l’estro a fasi alterne di Nani (con Varela pronto a riempire i vuoti del capoverdiano) e davanti Cristiano Ronaldo.
Prossimo ostacolo la Repubblica Ceca. Accessibile. Ancor più se oltre all’impresentabile Hélder Postiga si desse fiducia anche al giovane Nélson Oliveira (’91 – Benfica).
Se il gruppo B è stato il girone più interessante di Polonia/Ucraina lo si deve anche alla Danimarca, uscita a testa alta nonostante i grossi limiti.
Potrebbe lasciare i confini patri Krohn-Delhi, centrocampista offensivo combattivo e con buoni fondamentali,  che va per i trenta ma che almeno non ha deluso le aspettative come il gioiellino della truppa Eriksen.
Europeo egregio anche per Bendtner e Zimling.

Sulla Germania certezza e l’Olanda spenta e tatticamente allo sbaraglio niente di nuovo da dire.

Gruppo C
Spagna e Italia hanno confermato il pronostico della vigilia, anche nelle posizioni di classifica, ma quanta fatica.

Ci si aspettava un Irlanda arrendevole e un accomodante pari fra i campioni del mondo in carica e i croati ed invece la realtà è stata diversa o meglio confermata.
Infatti il tempo non ha mitigato i difetti che Spagna ed Italia hanno mostrato nelle prime uscite e difficilmente lo farà, essendo questi di natura fisica e strutturale.
Le Furie Rosse sono arrivate in Polonia con una condizione fisica deficitaria il che ha reso spesso sterile il già irritante possesso palla di cui si fregiano di essere esportatori unici mondiali.
Se non fosse stato per il piede sapiente di Iniesta, i guantoni di Casillas o la freschezza di Jesus Navas forse staremmo parlando di un’altra eliminazione eccellente.
Non che Italia e Croazia abbiano fatto faville, sia inteso, ma se gli uomini di Bilic fossero stati più fortunati in certe decisioni arbitrati e più coraggiosi negli scontri diretti, nessuno si sarebbe scandalizzato nel vederli ai quarti.
Del Bosque si è salvato con l’esperienza e qualche briciolo di classe dei suoi prescelti che, a dirla tutta, non è costituiscano nell’insieme un gruppo omogeneo e sfruttato alla perfezione.
Due soli centrali difensivi di ruolo (più gli adattabili Arbeloa e Javi Martinez) e una lunga e poco utilizzata batteria di attaccanti/esterni offensivi (ad occhio, costituisce quasi la metà della rosa). Dei sei attaccanti in lista è sceso in campo il solo Torres (ad onor di cronaca, Negredo (’85 – Siviglia) ha giocato l’ultimo minuto di Spagna-Croazia).
Un problema attacco che affligge anche l’Italia: si fa una fatica tremenda a fare goal.
Bene fino alla trequarti, grazie anche al lavoro di Pirlo e Marchisio, ma poi manca colui che finalizza le azioni, il goleador, cosa che non sono né Cassano, né Balotelli (inteso come uomo d’area), né Di Natale, né gli altri.

Ci manca la forza fisica per sfondare in mezzo e se non ci arriviamo col palleggio (i centrocampisti per ora non si sono fatti mancare negli inserimenti ma dopo un’ora di partita la stanchezza inevitabilmente affiora), con i pochi ‘centimetri’ che abbiamo (per deludente europeo di T. Motta) o aggirando le difesa sugli esterni (in questo meglio Balzaretti, nonostante sul piano tattico dia meno garanzie di Giaccherini) sono dolori.
Non è un caso che tre dei nostri quattro gol siano nati da palle inattive.

Manca peso e uno come Destro o Matri, giusto per fare due nomi, avrebbe fatto comodo.

Anche Ranocchia, una volta che Criscito è finito nelle rete di Scommessopoli, Barzagli si è infortunato (con Chiellini, Buffon e Pirlo fra i pochi, se non gli unici, ad aver avuto fastidi di natura muscolare in tutta la manifestazione, dopo una stagione in bianconero filato via liscia come l’olio) e il passaggio alla difesa con tre centrali, poteva starci benissimo, e non lo scarso impiego in stagione è una motivazione poco credibile (Giaccherini ha giocato solo 9 partite da titolare quest’anno).
Eppure le scelte di Prandelli stanno pagando e bisogna dargliene atto.

Gruppo D
A sorpresa l’Inghilterra passa come prima e sarà l’avversaria della truppa di Prandelli.
A sorpresa perché la Francia, finora di gran lunga la squadra migliore del girone D, perde malamente contro i già eliminati svedesi e perché nonostante il ritorno di Rooney con tanto di gol-vittoria la sensazione resta quella di una squadra tutt’altro che irresistibile.
Compassata e senza un briciolo di inventiva, iniziative solitarie di Young e di Walcott a parte,  gli unici due che hanno mostrato un passo diverso e di poter creare qualcosa che non sia scontato o frutto di una palla inattiva.
Prendiamo un’ipotetica ossatura Terry-Lescott, Gerrard-Parker e Rooney-Wellbeck e scopriamo che le coppie possono essere lette tutte con la stessa chiave: appannamento e spirito di sacrificio.

Eppure Hodgson ha messo in piedi una squadra sì bruttina ma equilibrata che lotta e non si scompone, se non in rari casi.
Non ha la classe e il ritmo di alcuni galletti ma come nel caso di Grecia e Rep. Ceca la sostanza ha battuto la forma.
Blanc ha cannato la partita più semplice sulla carta, per un eccesso di sicurezza che nel calcio difficilmente ti puoi concedere, nemmeno con una Svezia con la valigia già pronta ma con un paio di buonissime individualità (il bistrattato Granqvist, di cui molti tifosi hanno detto peste e corna, per rendimento sarà stato inferiore giusto a 4-5 centrali), su tutti quel fenomeno di Ibrahimovic, per una volta più trascinatore che meteora in campo internazionale.

Nel complesso la Francia non è dispiaciuta ma a preoccupare sono la scarsa vena di Benzema e l’efficacia intermittente dei tre che hanno giocato dietro di lui, senza dimenticare le penuria di alternative.
Contro la Svezia è bastato sostituire Cabaye con M’Vila (personalità e dinamismo sotto il limite dell’accettabile) e Ben Arfa con Malouda/Menez per avere un calo netto di rendimento, senza dimenticare che i due centrali di difesa, Rami e Mexes, quest’ultimo diffidato ed ammonito (salterà la Spagna), non offrono garanzie assolute e davanti si sono alternati in tanti ma tutti senza successo (all’appello manca solo Valbuena, ’84 del Marsiglia).

Ancora una buona prova per Debuchy e contro Iniesta nei quarti vedremo di che pasta è fatto e se la Francia è quella brillante, ma a sprazzi, vista contro Inghilterra ed Ucraina, o quella molle che ha perso nettamente contro la Svezia.

 

Finita la fase a gironi azzarderei un top/flop 22, schierati entrambi con un 4-2-3-1, il modulo che sembri vada per la maggiore in questo Europeo.

Top

Neuer

(Casillas)

Debuchy  Hummels Pepe Lahm

(Gebre Selassie) (De Rossi ) (Schildenfeld) (Coentrao)

Cabaye Khedira

(Modric) (Jiracek)

Blaszczykowski Dzagoev Iniesta

(Rakitic) (Cassano) (Khron-Delhi)

Gomez

(Mandžukić)

Flop

Szczesny

(Chalkias)

Van Der Wiel Mikhalik Dunne Ward

(Selin) (Sivok) (Wasilewski) (Willems)

Van Bommel T.Motta

(Andrews) (Elm)

Robben Rosicky Cox

(Milner) (Eriksen) (Malouda)

Helder Postiga
(Keane)


AL82

Nella foto l'indomito Karagounis, una vecchia conoscenza nerazzurra