Non aver paura di fischiare un calcio di rigore.

La paura è un’emozione primaria, spontanea, legata all’istinto di sopravvivenza.
Provare paura ci rende terreni, perfettibili, un tutt’uno di carne, ossa e Io.
Mente e corpo sono predisposti a questa debolezza, che si tratti di affrontare un pericolo reale, accessorio se non apparente.
Di fronte alla paura o si lotta o ci si da alla macchia.
Ma esiste un momento del tutto transitorio in cui le due reazioni possibili collidono, in cui una si nutre dell’altra e viceversa.
Penso all’istante che precede la svirgolata di Alvarez a pochi passi da Polito e a quello immediatamente successivo al suo rabbioso raddoppio.
No, il rigore fischiato a Samuel non ha niente a che vedere con la sfera del tangibile ma attinge a piene mani dal pensiero emersoniano di Superanima, di ente portatore di una verità che non può essere messa in discussione.
È una forza a se stante, un concetto che compenetra l’essere umani e lo travalica come una scarica elettrica che lascia tramortiti per un tot.
Una punizione divina con effetto boomerang:  gira intorno all’autore del gesto empio e colpisce invece il più tenero degli agnelli sacrificali.
Ecco, quell’episodio grava sulla testa di un’orgogliosa Inter peggio di una scure.
E ad una testa decollata viene difficile chiedere di lucidità (vero Schelotto?), calma, motivo per pensare.
Manca l’ossigeno, manca la visione d’insieme (qualcuno ha chiesto un riassetto tattico dopo l’ingresso di Livaja, dimenticando che gli ultimi due goal nerazzurri arrivano col croato già in campo), il fiato per imprecare.
C’è solo la bocca che mastica l’amaro della terra di un San Siro (il ruolino casalingo stagionale è da medio-bassa classifica) diventato pesante (unica nota lieta i riscatti personali di Rocchi e Alvarez) e scenario di un’esecuzione che se non è capitale poco ci manca.
Dicasi omissione di soccorso con noi nella parte dei vecchi acciaccati e lasciati al proprio avaro destino. Gervasoni ha solo (!) manomesso il salvavita Beghelli appeso al collo di Stramaccioni.
L’intervento di Moratti è fuori tempo, quello di Bonolis inadeguato e non richiesto, la parresìa del mister un placebo.
A malapena si percepisce la sirena dell’ambulanza visto il numero di volte che abbiamo rifiutato la barella (Bergamo, Cagliari, la trasferta di Torino, a Roma sia con la Lazio che con i giallorossi, Udine, il derby d’Italia e quello milanese nel girone di ritorno), in bilico fra la paura di sbagliare ed un eccesso di coraggio, che poi è il posto in cui ci muoviamo da 105 anni.
Un posto umano, ben visibile, eticamente e non solo.
Scavalcare la trincea e correre disarmati verso il nemico è un suicidio che accorcerebbe la nostra agonia (i risvolti poi sono tutti da vedere) ma dal quale, senza un nuovo messia (e il Mou, a suo dire, vuole restare ancora alla destra del Padre), resusciteremo dopo secoli.
Meglio affrontare la battaglia con una strategia diversa che implichi sia la sofferenza (la situazione dell’Inter è grigia a priori) che la ribellione vera.
Resta da capire solo se facendosi nuovi alleati (anche sul mercato) e se mantenendo gli stessi interpreti.

Prendiamoci da soli il nostro rigore scegliendo il lato verso il quale mirare e il modo più diretto per raggiungerlo.

Aniello "AL82" Luciano

Nella foto (© Ansa) l'Übermensch.