Uno sguardo sull'Europeo Under 21 2013.

Israele come Polonia/Ucraina: Spagna, nettamente superiore nell’aspetto qualitativo e nella continuità con cui questo è stato espresso, campione d’Europa, medaglia d’argento ad un’Italia operaia e con individualità sparse ma fulgide solo a tratti.
Il film della competizione, infatti, ha avuto un cast di buoni attori, emergenti incapaci di bucare con prepotenza lo schermo e pochi divi da red carpet.
L’Oscar come miglior interprete va sicuramente a Isco, probabilmente l’unico in grado di far differenza da solo, ad assurgere alla carica di top player.
Però anche se che il numero degli assenti o presunti tali è stato alto (Balotelli, El Shaarawi, Draxler, Götze, Gündogan, Schürrle, Kroos, Narsingh, Rodwell, Sterling, Oxlade-Chamberlain, Wilshere, Walker, Welbeck etc.) e non si sono viste idee illuminanti di calcio (il 4-4-2 di Mangia ne è la riprova) sarebbe ingiusto definire inutile questo Europeo U21.
Qualche nome da appuntare c’è sempre, a maggior ragione adesso che il calciomercato sta entrando nel vivo. Proviamo a farne almeno tre per ogni ruolo.
 

Fra i pali la sicurezza maggiore l’ha espressa De Gea (’90, Spagna), non a caso portiere del blasonato Manchester United e ventitreenne titolato (un altro europeo U21, una Europa League, una Supercoppa Europea, una Premier League ed una Community Shield completano il suo palmares) e di comprovata esperienza. Alle sue spalle si sono difesi Bardi (’92, Italia), considerato un predestinato ma con qualche spigolo da limare, e soprattutto Nyland (’90, Norvegia), reattivo, essenziale nei suoi interventi sia nello specchio della porta che nelle uscite alte. Passato lo scorso novembre al Molde di Solskjær dopo aver vinto da protagonista la Coppa di Norvegia col piccolo IL Hødd (mvp della finale), potrebbe a breve imbarcarsi verso campionato di prestigio come quello inglese, forse il più adatto alle sue caratteristiche.

In difesa tutte le otto compagini arrivate alla fase finale hanno adottato un classico schieramento a quattro. Nel ruolo di terzino a destra verrebbe da citare quasi d’istinto l’ormai ex interista Donati (’90), autore di prestazioni convincenti soprattutto sul piano della concentrazione, ma nell’applicazione delle due fasi i migliori sono stati Montoya (’91, Spagna), lucido nella gestione della palla e dotato di buon piede e tempi giusti nelle sovrapposizioni, e Elabdellaoui (’91, Norvegia), origini marocchine e un passato nelle giovanili del Manchester City prima di finire all’Eintracht Braunschweig via Feyenoord. Sulla corsia opposta nessuno ha spiccato in maniera evidente sui rivali. Quanto a maturità il migliore è stato senz’altro Blind (’90, Olanda), classico esterno pratico, di quelli che preferiscono restarsene in zona e non spingere fino a fondo campo. Posizione di ripiego per Moreno (’92, Spagna), timido e a disagio nello stretto come poche volte nel Siviglia, mentre scegliere il terzo è un vero terno a lotto. Premiamo la giovane età di Robinson del Liverpool (’93, Inghilterra) e l’adattabilità del tedesco Jantschke (’90) di proprietà del Borussia Mönchengladbach, anche se non va sottovalutata la possibile crescita extra-Europeo del ‘’novello Chiellini’’ Regini (‘90).
 

Nel cuore dell’area si sono visti dei bravi ragazzotti, con una discriminante: tanti marcatori aiutanti, zero registi difensivi, eccezion fatta per Bartra (’91). Per il centrale blaugrana doti da palleggiatore e il vizietto di piacersi troppo o di voler strafare, come dimostrano le scorribande centrali in puro stile Lucio o l’eccessiva confidenza con la palla al piede, specie negli ultimi 16-20 metri. Meno eleganti ma altrettanto efficaci il nostro Bianchetti (’93) e de Vrij (’92, Olanda), il cui infortunio in semifinale ha influito negativamente sulle sorti degli orange (vedi l’errore del sostituto Van der Hoorn in occasione del gol partita di Borini). Fra i mancini anche qui c’è stata penuria ma Iñigo Martínez (’91, Spagna), Martins Indi (’92, Olanda) e Thesker dell’Hoffenheim (’91, Germania) hanno saputo offrire ordine il primo, duttilità il tedesco e invidiabile rapporto esuberanza nei corpo a corpo/prontezza nei recuperi, pur tatticamente rivedibile, per il centrale del Feyenoord nato in Portogallo.

Nella zona nevralgica del campo, dove ormai gli schieramenti a quattro in linea è superato, le prestazioni delle Furie Rosse sono state ineguagliabili sia come singoli che come collettivo. Non a caso l’inesauribile interscambiabilità dei centrocampisti spagnoli è stata una delle note più fresche, se non l’unica nell’ambito strettamente strategico. Se per Isco (’92) e Thiago Alcántara (devastante in finale quando schierato più a ridosso dell’area avversaria, intermittente e bloccato nelle precedenti apparizioni) gli aggettivi sono esauriti bisognerebbe spenderne di più per Illarramendi (’90), fondamentale tanto quanto i blasonati compagni di nazionale. Il play della Real Sociedad sopperisce ad uno stile un po’ grezzo e un giro palla abbastanza elementare con un senso della posizione invidiabile e buone capacità di inserimento: tampona, cuce e all’occorrenza punta la porta, grazie anche da un destro potente e tagliato.

Per il resto dei centrocampisti osservati, i più attesi (Verratti, Strootman e Shelvey su tutti) sono stati anche i più deludenti in relazione alle loro possibilità. Hanno invece mantenuto intatte gran parte delle aspettative Florenzi (’91), van Ginkel (’92), autentico tuttofare in ascesa esponenziale, Rudy (’90, Germania), Koke (’92, Spagna), Biton (’91, Israele), Ginter (’94, Germania) e il norvegese Eikrem (’90). Fra quelli che hanno giocato meno non si possono dimenticare Fer (’90, Olanda), Henriksen (’92, Norvegia) e Camacho (’90, Spagna).

Quasi decaduta la categoria dei trequartisti/centrocampisti che ballano fra le linee ma Maher (’93, Olanda), Holtby (’90, Germania), Saponara (’91) e Dzagoev (’90, Russia) hanno provato quanto meno a tenerla viva. In maniera specifica l’olandese dell’Az ha fatto il bello e il cattivo tempo, alternando spunti da fuoriclasse e momenti di luna storta.

Passiamo all’attacco.

Numero uno fra i finalizzatori ovviamente il capocannoniere Morata (’92). Lo spagnolo del Real Madrid ha pian piano conquistato la fiducia di mister Lopetegui che gli preferiva Rodrigo, decisamente in ombra in Israele. E lo ha fatto a suon di gol (decisivi quelli messi a segno nella fase a gironi), sportellate e movimenti da punta moderna. Pochi gol ma tanto lavoro oscuro per Pedersen (’90, Norvegia), de Jong (’90, Olanda), che fa tante cosucce interessanti ma tutte a velocità ridotta e senza la dovuta fame agonistica, e Immobile (’90), pur dando al sottovalutato Gabbiadini (’91) quel che è di Gabbiadini.

Ottimi profili pure fra gli esterni offensivi. In ordine sparso: i tulipani Wijnaldum (’90) e Ola John (’92), con il primo più portato ad accentrarsi anche perché nel Psv è stato spesso e volentieri riproposto dietro Matavz lasciando la fascia a Narsingh, ma anche la riserva Depay, classe ’94 pronto a prendere il posto del neo-napoletano Mertens e di cui sentiremo parlare certamente nel prossimo futuro; gli inglesi Ince (’92) e Rodman (’94), autentiche schegge da tenere d’occhio (il primo ricorda molto da vicino Lennon, pur essendo un mancino naturale); Insigne (’91), bloccato solo da un infortunio alla caviglia; Nielsen (’93), norvegese del Red Bull Salisburgo, ma anche i connazionali King (’92, Blackburn ma in prestito dal Manchester Utd) e Berget (’90, Molde) hanno messo in mostra un bel potenziale; il tedesco Herrmann (’91) e in chiusura lo spagnolo Sarabia (’92, Getafe), una sola presenza ma convincente, cosa che non è tanto riuscita ai pallidi Muniain (’92) e Tello (’91).
Anche questo un segno di un Europeo U21 valido ma assolutamente non elettrizzante.