Equilibrio precario.

Un flash, un episodio fortunato, il bacio che spezza l’incantesimo.
Il goal di Forlan è questo e non solo.
L’Inter tutta sembra fare perno sulla finta che manda al tappeto Motta e svela una faccia diversa, probabilmente la più autentica della stagione.
Un azione a testa bassa, cocciuta e anche un po’ disperata, quasi d’altri tempi.
Ecco, quel tiro sa di un Inter che sfoglia l’album dei ricordi e come primo istinto ha quello di toccarsi la pancia e scuotere la testa in segno di disapprovazione.
Come un macchinista che pasticcia con le pizze e per correggere l’errore ne monta in fretta e furia una in macchina di tutt’altro registro ma pur sempre con la pellicola bisognosa di un restauro.
E così per settanta minuti assistiamo allo stesso film visto nell’ultimo mese: una squadra vogliosa ma senza mordente (che lo si chiami cambio di ritmo o reazione d’orgoglio), riproposta con un 4-4-2 sulla carta propositivo e ugualmente rinunciatario.
Questo perché a mancare sono testa e sincronismi. La transizione della palla è lenta, si partecipa poco alla fase passiva di gioco e di conseguenza i reparti perdono le distanze. Di contro il Catania gioca un calcio semplice fatto di fraseggi, scarichi sugli esterni e tagli centrali, senza poderose accelerazioni o attacchi in massa.
Eppure la coppia Palombo-Cambiasso si schiaccia sui centrali di difesa con la medesima semplicità e finisce con lo sbagliare le coordinate e della regia e dei raddoppi. C’è da dire che nella fase chiave del primo tempo, in cui Almiron e Barrientos si infilano a destra e a manca, anche gli esterni toppano il possibile. 

Solo dalla parte di Forlan l’Inter prende vita per qualche minuto prima di cadere nel torpore generale. Torpore che a mano a mano risucchia anche gli etnei, che alla fine pagheranno l’eccesso di accademia con la rete simbolica di Forlan.
Da lì nasce un’altra partita, di leonardiana memoria, giocata quasi con forza d’inerzia. Freschezza ed estro (perché la grinta di Poli e Obi per essere funzionale necessita della stoffa dei vecchi campioni e viceversa) a discapito della tattica, da un estremo all’altro, in un equilibrio precario ma tangibile.
Potevamo perderla come vincerla e anche per questo è un pareggio dal sapore dolciastro. Un punto da prendere e portare a casa senza tante congetture. Perché il goal di Forlan è anche il pasticcio di Carrizo, è lo spartiacque che divide l’Inter di Ranieri da quella di Leonardo, due modelli dai quali, per mille ragioni, non dobbiamo prendere spunto tanto quanto da ciò che fummo (Mou) e ciò che saremo (AVB o chiunque altro). Abbiamo bisogno di serenità subito. 

Al bando stravolgimenti istintivi, proteste accalorate (l’ironica standing ovation durante l’uscita dal campo di Cambiasso rasentava l’ignominia), isterismi ed interismi.
Chiudiamo la stagione e poniamo le basi sulle quali cui costruire il nostro futuro. Non servirà sventolare parole altisonanti come progetto o rifondazione. 

I soldi fanno comodo ma poi bisogna saperli spendere. 

Per questo credo che servano soprattutto le idee, la fiducia assoluta e gli stimoli. Un po’ come se, durante l’inno nerazzurro, cantassimo con voce soffusa “pazza” e con un bell’acuto “amala”.

AL82

Nella foto, Diego Forlan dopo il gol al Catania. Speriamo di rivedere questa faccia, quest'espressione, molte altre volte in quest'ultima parte di stagione. Ne abbiamo maledettamente bisogno.